GIURISPRUDENZA PARTI COMUNI

Laddove vittima del reato sia un soggetto collettivo quale è il condominio è necessaria la querela della totalità dei componenti nella sua espressione istituzionale. Inoltre è da escludere che il singolo condomino possa esercitare una facoltà di questo genere con riferimento alla propria quota millesimale delle parti comuni dell’edificio. Cass. n. 6197/11

Il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la nozione di pari uso del bene comune non è da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell’unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine; che, pertanto, la disciplina turnaria dei posti macchina, lungi dal comportare l’esclusione di un condomino dall’uso del bene comune, – come ritiene la sentenza impugnata, – è adottata per disciplinare l’uso di tale bene in modo da assicurarne ai condomini il massimo godimento possibile nell’uniformità di trattamento e secondo le circostanze; che la delibera, la quale disciplina l’uso di un bene comune può essere legittimamente assunta con le maggioranze di cui all’art. 1136 cod. civ., purché sia assicurato il pari uso di tutti i condomini, e cioè il massimo godimento possibile, come è avvenuto nel caso in esame. Cass. n. 237/10

Non commette il reato di cui all’articolo 615-bis del codice penale il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall’intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare gli spazi rientranti tra le parti comuni dell’edificio (come un vialetto e l’ingresso comune dell’edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini (i quali, peraltro, nella fattispecie, erano a conoscenza dell’esistenza delle telecamere, motivo per cui la ripresa non era neppure idonea a cogliere di sorpresa gli altri condomini in momenti in cui potevano credere di non essere osservati). La ripresa con una telecamera delle parti comuni non può, pertanto, in alcun modo ritenersi che sia indebitamente invasiva della sfera privata dei condomini, giacché la indiscriminata esposizione alla vista altrui di un’area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell’area siano state in concreto, inopinatamente, realizzate e perciò riprese. Cass. pen. n. 44156/08

L’area di proiezione delle scale sulle verticali, in alto ed in basso, si presume comune, a norma dell’art. 1117 c.c., e tale presunzione può essere vinta soltanto da un titolo contrario, il quale non è ravvisabile nella generica riserva dell’originario proprietario di apportare al fabbricato le modifiche murarie che avesse ritenuto opportune, contenuta nel regolamento condominiale. Cass. n. 5037/08

In mancanza di una specifica previsione contraria del titolo costitutivo, la destinazione all’uso e al godimento comune di taluni servizi, beni o parti dell’edificio comune, risultante dall’attitudine funzionale del bene al servizio dell’edificio, considerato nella sua unità, e al godimento collettivo, fanno presumere la condominialità, a prescindere dal fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini o solo da taluni di essi. Cass. n. 9093/07

Il condomino che mantiene parcheggiata per lunghi periodi di tempo la propria auto in uno spazio condominiale come il cortile, manifesta la volontà di possedere il bene in maniera esclusiva, trattandosi di occupazione stabile di uno spazio comune, andando ben oltre, quindi, a quanto consentito dall’art. 1102. Una tal condotta infatti, impedisce agli altri condomini di usufruire parimenti dello spazio comune. Cass. n. 3640/04

La presunzione legale di comproprietà, stabilita per i beni elencati nell’articolo 11170 c.c. la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, e’ necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, nell’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino. Cass. n. 5633/02

In mancanza di norme limitative della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell’art 1122 cod. civ. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune. Cass. n. 5612/01

Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, cementi decorativi relativi ai frontali ed ai parapetti) svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117 n. 3 cod. civ., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno. Cass. n. 568/00

Le delibere dell’assemblea che dispongono l’esecuzione di lavori riguardanti i balconi dell’edificio condominiale (sebbene questi appartengano in modo esclusivo ai proprietari dei rispettivi appartamenti), quando le opere deliberate incidano sull’armonia architettonica della facciata, interessano il bene comune del decoro estetico dell’edificio medesimo e comportano la legittimazione dell’amministratore nella relativa controversia. Cass. n. 11888/99

Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune può aprire su esso abbaini e finestre – non incompatibili con la sua destinazione naturale – per dare aria e luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d’arte e non ne pregiudichino la funzione di copertura, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo. Cass. n. 1498/98

A differenza dalle innovazioni (configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall’assemblea – art. 1120 comma primo cod. civ. – nell’interesse di tutti i partecipanti) le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 cod. civ., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso. Pertanto, è legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato anche all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall’assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune. Cass. n. 1554/97

I balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti comuni dell’edificio e appartengono ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti, che sono gli unici responsabili dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati, mentre i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano (quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti, con la conseguenza che è onere di chi vi ha interesse, al fine di esimersi da responsabilità, provare che il danno fu causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell’intero edificio appartenevano alle parti comuni di esso. Cass. n. 8159/96

I fregi ornamentali e gli elementi decorativi che ineriscano ai balconi (quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti, mentre i balconi, essendo elementi accidentali rispetto alla struttura del fabbricato, e non avendo funzione portante (assolta da pilastri ed architravi), non costituiscono parti comuni dell’edificio, anche se inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell’appartamento che vi ha accesso come prolungamento del piano. Cass. n. 7148/95

Nel caso di attraversamento da parte dei tubi dell’impianto termico condominiale di un vano di proprietà esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare l’esistenza di una servitù prediale di conduttura di liquidi a carico di tale vano ed a vantaggio delle altre parti dell’edificio e non la semplice configurazione di opere, installazioni e manufatti di uso e godimento comune ai sensi dell’art. 1117 n. 3 del codice civile, la quale presuppone gli estremi del reciproco vantaggio con la conseguenza che per la sua costituzione non è sufficiente il mero consenso verbale del proprietario del vano e la mancata opposizione alle relative delibere condominiali, essendo richiesto per detto consenso la prescritta forma scritta. Cass. n. 1523/88